I film di PlayAlpinismo: Touching the void – La morte sospesa di Kevin Macdonald racconta la storia drammatica e immortale di Joe Simpson e Simon Yates e della loro prima salita della parete Ovest del Siula Grande (Ande, Perù). Un film e una storia sull’amicizia, sulla vita e sulla sua grandezza. Recensione di Vinicio Stefanello.
Ci sono storie immortali. Storie che sono destinate a passare di bocca in bocca ed essere narrate per sempre. Sono epiche, appunto. Raccontano di eroi, di miti e di leggende. Attingono all’immaginario e, allo stesso tempo, ci servono per comprendere la nostra vita, la nostra realtà. Eppure a volte succede – lo sappiamo tutti – che la realtà e la vita si dimostrino tanto inimmaginabili, drammatiche e superino così tanto ogni fantasia, da diventare leggenda. La storia vera, raccontata in La morte sospesa, o per dirla con il titolo originale in Touching the void, è una di queste. Non un semplice dramma ma anche una resurrezione. Non solo un’avventura aldilà della realtà ma anche lo stravolgimento di uno dei capisaldi retorici dell’alpinismo: quell’unione indissolubile della cordata che qui invece viene infranta. Tanto che quella corda che lega i due protagonisti è il simbolo stesso della disfatta e insieme della rinascita. Perché, a volte, come in questo caso, quel legame supera ogni fisicità e scelta, ed è presente, anzi è ancora più presente, anche dopo essere stato spezzato. E questo, quando succede, a ben vedere, fa grande l’alpinismo e la vita.
Stiamo parlando, tutti lo sanno, di ciò che è veramente accaduto agli alpinisti britannici Joe Simpson e a Simon Yates sul Siula Grande, una remota e affascinante montagna di 6.536 metri delle Ande Peruviane. Era il 1985, e loro erano lì per scalarne la difficile e pericolosa parete Ovest. Un grande ed ambizioso progetto, tanto che, anche se più volte tentato, era ancora irrisolto. Dalla loro avevano la forza e la sfrontatezza della giovinezza (Joe all’epoca aveva 25 anni mentre Simon ne aveva 21) unite all’esperienza maturata sulle difficili goulotte scozzesi e sulle pareti delle Alpi. In più avevano anche quello stile particolare degli alpinisti britannici di quei tempi che li faceva affrontare la montagna senza compromessi. Non a caso si erano imbarcati da soli in quell’avventura. Solo casualmente avevano conosciuto sul posto Richard Hawking, un ragazzo come loro ma assolutamente a digiuno di alpinismo, che li accompagnò fino al Campo base.
Da lì, dal Campo Base, un posto magnifico con tanto di laghetto personale, la parete Ovest del Siula Grande distava circa 8 chilometri. Insomma, non la vedevano nemmeno. Ed erano soli in un territorio sconfinato. Su montagne di cui conoscevano poco o nulla. Ma questo è l’alpinismo! O meglio quell’alpinismo di vera avventura che per entrambi era una ragione di vita. Così partirono, consci che potevano anche non far più ritorno. Affrontarono la parete. Attraversarono il panico di non riuscire. Rischiarono forse oltre ogni limite. E bivaccarono i condizioni molto difficili, con il maltempo che infuriava. Poi, quasi insperata, la cima.
Per la vera vittoria, e per la vera gioia, manca ancora la conferma della discesa, anche questa un’assoluta incognita. Non la conoscono. Non potevano conoscerla. Ricordate? Sono soli in una montagna sconosciuta e sperduta in un’immensità di montagne. Così devono scegliere. L’essenza dell’alpinismo passa sempre da scelte di cui devi sopportare la responsabilità. Una verità che più in là sarà ancora più chiara ad entrambi. Intanto si perdono. Ritrovano la via. E, quando credono di avercela quasi fatta, accade l’incredibile. Joe si spezza una gamba… e da qui inizia la storia che nessuno potrà mai più dimenticare.
In quelle condizioni e in quel posto, Joe sa di essere morto. Nessuno, tantomeno Simon, può salvarlo. Anzi Simon, questo pensa Joe, non può far altro che abbandonarlo. Invece accade il miracolo (e la prima resurrezione). Simon escogita un modo, tanto disperato e crudele quanto efficace, per calarlo. Sembra quasi fatta… Ma è proprio allora che arriva la seconda “morte” di Joe. Arriva l’inevitabile, quella scelta che nessun alpinista e uomo vorrebbe mai affrontare. Quella del “mors tua vita mea”. Insomma, è l’inizio di un autentico dramma. Delle tante morti e resurrezioni di Joe. Dell’angoscia di Simon. Di un calvario che sembra assolutamente privo di qualsiasi redenzione.
Mi fermo qui. Anche se La morte sospesa, il libro con cui Joe Simpson ha raccontato questa storia è un best seller, e molti conosceranno la fine, voglio fermarmi qui. Perché vorrei invitarvi a vedere il film omonimo, diretto nel 2003 dal regista Premio Oscar Kevin Macdonald. Non solo perché è un grande film ma perché Touching the void è, appunto, una storia immortale. Di quelle che vanno ricordate, raccontate, viste e riviste. Di quelle che ci ricordano e insegnano ad essere fino in fondo uomini, aldilà del mito.
Vinicio Stefanello
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